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Scrivi quel che sai #4 – il lavoro Leggi più tardi

Riassunto di scrivi quel che sai

Bentornato al quarto episodio di Scrivi quel che sai,

negli articoli precedenti abbiamo accennato alle insidie nascoste nel descrivere luoghi lontani, come gestire la routine e prendere spunto dai propri ricordi per arricchire le tue descrizioni. Questa settimana approfondiamo la routine introducendo un elemento spesso sottovalutato o abusato: il lavoro.

Il lavoro nei romanzi

Dipende molto dal genere cui appartiene il romanzo, ma il lavoro può essere il fulcro centrale del conflitto oppure così marginale da essere a malapena menzionato.

In entrambi i casi, si può rischiare di cadere in un eccesso che infrange la credenza secondaria del lettore.

Ciò che rende un personaggio credibile è la descrizione di una psicologia salda, un codice di condotta, e un lavoro che ne definisce le scelte, il carattere e, soprattutto, lo impegna per gran parte del suo tempo.

Il tuo lavoro di scrittore, ma anche quello parallelo o precedente alla carriera letteraria può fornirti molti spunti. Puoi ispirarti per le descrizioni dei locali, degli interni, per tratteggiare i colleghi del tuo protagonista; perfino usare un conflitto realmente avvenuto a causa delle dinamiche che si instaurano sul posto di lavoro.

Infatti, le relazioni umane che si sviluppano durante le ore di lavoro comportano spesso fatica, sacrificio, difficoltà a entrare in empatia con persone che, all’inizio, percepiamo come estranee e, sebbene con il passare del tempo ci sembra di conoscerle, ignoriamo le loro vite al di fuori dell’ufficio. Si creano quindi relazioni basate su una piccola porzione di vita condivisa, che potrebbe rivelarsi artificiosa una volta abbandonata la scrivania.

Il troppo stroppia

Quando si svolge un’attività in ufficio, che sia impiegatizia o a livelli dirigenziali, le quattro mura lavorative diventano una seconda casa.

Superate le prime riluttanze, si arriva a far colazione nella cucina comune, usare il bagno con disinvoltura, ordinare cibo da asporto e mangiarlo parlando di lavoro; si riesce persino a ridere e scherzare con perfetti sconosciuti, aggrappandosi ai pochi punti in comune che si riescono a trovare.

Del resto, se ci fosse un’alternativa resteremmo ancora in ufficio alle dieci di sera a parlare con quelle persone? Le frequenteremmo oltre l’orario lavorativo? A parte la birra “socialmente obbligatoria” al pub sotto l’ufficio, probabilmente, no. Esistono anche professioni dove il fattore umano è molto importante ma, vista la società tendente al massimo rendimento/minimo costo, forse non ti sto raccontando nulla di nuovo.

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Di solito, nei romanzi si scelgono dinamiche complicate, dinamiche di squilibrio come quella che ti ho descritto: orari folli, scadenze sovrapposte, problemi di difficile risoluzione, colleganza amica-nemica, perché – diciamoci la verità – un lavoro rosa e fiori, dove tutto va bene, i colleghi adorano il protagonista, nessuno pugnala gli altri un po’ sa stucchevole e finto. Soprattutto non crea conflitto, che è il motore trainante di ogni storia.

L’ambiente di lavoro del protagonistapuò creare i presupposti adatti per un conflitto in grado di far girare la pagina al lettore.

La volta precedente (in questo articolo) abbiamo parlato di come gestire le attività abitudinarie attraverso gli esempi di American Psyco e R.E.D. e di come le scene d’introduzione di queste due storie fossero funzionali alla comprensione di personaggi ed eventi.

Anche il lavoro può essere funzionale a trama ed eventi successivi, ma non può limitarsi a questo.

Raccontare la vita di un personaggio che passa tutto il suo tempo chino su una scrivania, cercando di sopravvivere alle relazioni umane con persone con cui, in altre situazioni, non si rivolgerebbe nemmeno la parola, mentre trascura gli affetti può essere un conflitto interessante sul piano psicologico e nell’ottica della trasformazione del personaggio: a un certo punto, ci dovrà essere un’apertura.

Il protagonista dovrà vivere un evento che lo aiuterà a comprendere che quella non è la vita reale, che desidera, allenterà i cordoni del lavoro, e si riavvicinerà ai suoi cari, con un grado di facilità e velocità deciso dall’autore. A meno che la storia non segua il filone appena narrato o appartenga alla categoria del thriller legale/affaristico, in cui gli studi legali e gli uffici di grandi società sono lo sfondo necessario per tratteggiare il mondo in cui si muovono i personaggi nell’affrontare il conflitto, è bene relegare il lavoro alle scene strettamente utili alla narrazione. Altrimenti la noia sarà tale da uccidere il lettore a colpi di sonno.

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Impara a coinvolgere il lettore

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Il lavoro nobilita… i personaggi

Se da un lato conviene limitare l’uso degli ambienti di lavoro nei romanzi, dall’altro escludere completamente questo aspetto nella vita dei personaggi li renderà piatti e irrealistici. Tutto si può descrivere, tutto può funzionare… se spiegato. Quindi, va bene dare vita a personaggi disoccupati, appena licenziati o in cerca di lavoro. Chiaramente si tratta di una piccola parte. Si suppone che la maggior parte delle persone in un mondo reale, o verosimile, abbia un lavoro. Mostralo.

Bastano pochi gesti: non serve inondare il lettore di ogni particolare sulla riunione in cui il personaggio ha disegnato tutto il tempo invece di prendere appunti; accompagnarlo fino a sera tarda quando gli piomba la rogna delle undici da sbrigare entro mattina.

Limitati a mostrare i suoi comportamenti, fagli cambiare spesso posizione sulla sedia, utilizza quel tempo per introdurre i personaggi utili alla trama, più avanti fagli ordinare una pizza, il cinese, quello che vuoi… ma, soprattutto, quando inizierà il conflitto e il protagonista sarà assorbito dagli eventi, non cancellare questa realtà dalla sua vita.

Se il conflitto tiene il protagonista lontano dal luogo di lavoro non dare per scontato che tutto procederà come nulla fosse: il capo lo cercherà, i colleghi gli chiederanno conto del suo lavoro, una scadenza saltata potrebbe provocare danni. Pensa alle conseguenze della narrazione sul piano lavorativo.

Immedesimati nel capo, collega, cliente del tuo personaggio e inserisci i dettagli che reputi più utili.

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Conclusione

Scrivere un romanzo ti permette di interrogarti sulle esperienze vissute e imparare a filtrare i dettagli, gli stati d’animo, e stralci delle vite altrui.

Quando vedi un collega preoccupato, il barista che ti porge il caffè con un sorriso, la cassiera che ti consegna svogliatamente lo scontrino con il resto, stai vivendo con loro quel momento. Attraverso l’empatia puoi immaginare la loro vita, arricchirla con la tua fantasia e realizzare un personaggio credibile che parla al lettore, perché tutti abbiamo preso un caffè al bar, ci siamo scocciati nel ricevere il resto in malo modo, abbiamo sorriso a un cliente.
Grazie per avermi seguito fino a qui, ci rileggiamo nel quinto episodio di Scrivi quel che sai e parleremo di show, don’t tell. Nel frattempo, immagina un personaggio seguendo i consigli di scrittura di questo articolo e parlane nei commenti.

Buona scrittura.

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