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M’editar is so good: Cinque errori grammaticali frequenti | pillola #5 Leggi più tardi

Ciao e bentornato a un nuovo episodio di m’editar is so good: pillole di auto editing.

Nell’episodio precedente della differenza tra pianificatori vs. esploratori e dell’importanza della pianificazione nella scrittura di un romanzo.

In questo quinto appuntamento parliamo di cinque errori grammaticali frequenti della lingua italiana che ogni scrittore professionista dovrebbe evitare.

Infatti, nonostante l’italiano sia la nostra lingua madre, amata da poeti e grandi romanzieri, ci sono errori che vengono perpetrati e reiterati con buona gioia del povero Dante Alighieri, che ha consumato la tomba a furia di rivoltarsi e se ne lamenta di continuo.

Per la rubrica pillole di auto editing vediamo quali sono gli errori più ostici e la regola grammaticale, per non sbagliare mai più.

Cinque errori grammaticali frequenti

Apostrofo, accento oppure no?

Prima regola del #WritingClub:
Non mettere l’apostrofo tra qual ed è!
Seconda regola del #WritingClub:
Ma ci va tra qual ed erano!
Terza regola…

… Impara la grammatica per non avere ogni volta lo stesso dubbio. 

1. L’apostrofo

Definizione, regola grammaticale e uso

Temutissimo dagli scrittori di tutto lo stivale, l’apostrofo viene usato impropriamente, generando dubbi di ogni sorta. Per capire il suo utilizzo è bene partire dalla sua definizione:

L’apostrofo è un segno grafico che indica l’elisione, o caduta, della vocale finale atona quando precede una parola che inizia per vocale.

— Grammatica italiana

Il suo uso ha finalità fonetiche. Si usa, infatti, per generare armonia quando due parole rispettivamente terminano e iniziano per vocale – ratio già incontrata nell’episodio sulla d eufonica. La caduta della vocale atona (non accentata) finale permette una pronuncia più agevole, migliorando l’armonia musicale dell’intera frase.

L’apostrofo si usa con:

  • → gli articoli determinativi lo, la (e loro forme articolate); è ormai desueta, invece, l’elisione per l’articolo determinativo gli, quando incontra la vocale i (es. gl’incontri);
  • Con l’articolo indeterminativo una, mentre non si usa mai per le forme maschili.
  • Con le particelle pronominali ( mi, ti, ci, etc.);
  • Con gli aggettivi numerali (trent’anni; terz’ultimo, etc).

2. Il troncamento – parte prima

Qual è, qual era, qual’erano

Nell’italiano odierno, un errore comune è scrivere qual è con l’apostrofo. La corretta grafia ne è priva, poiché:

“Si tratta di troncamento e, a differenza dell’elisione, non prevede alcun segno grafico.”

— Grammatica italiana

Il troncamento è la caduta della vocale atona finale, o della sillaba finale, che avviene quando c’è un incontro di consonanti o di vocali per motivi di armonia fonica.

Qual” si può definire una forma tronca, in quanto esiste nella sua forma autonoma, quando precede una parola che inizia per consonante – qual buon vento, qual principio… – o per vocale – come nel caso di qual è.

Analogamente, la forma passata qual era segue la stessa regola. Mentre, la forma qual’erano presenta l’apostrofo in quanto si tratta di elisione di quali erano.

Il trucco per capire se l’apostrofo ci va o meno è semplice: basta vedere se la parola che ha perso la vocale atona finale può stare da sola anche davanti a una parola che inizia per consonante, come nel caso di tal, bel, ben

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3. Il troncamento – parte seconda

L’apocope vocalica e le eccezioni

Il troncamento si differenzia dall’elisione, perché non c’è l’apostrofo a segnalare la caduta della vocale, tranne nell’eccezione dell’apocope vocalica (po’, mo’, be’, di’, da’, fa’, va’, sta’, to’) e il troncamento irregolare piè, che è l’unico caso di troncamento segnalato da un accento.

Abbiamo visto che in caso di apocope vocalica, un tipo particolare di troncamento, la caduta della vocale davanti a una consonante viene segnalata dal segno grafico dell’apostrofo.
Tuttavia, queste eccezioni possono dare vita a ulteriori dubbi ed errori. Perciò vediamo le differenze principali tra l’apocope vocalica e le altre forme grammaticali:

Da, dà e da’

Nella sua funzione di verbo,  vuole l’accento per differenziarsi dalla preposizione semplice da; mentre si scrive con l’apostrofo (da’) in quanto apocope vocalica quando si tratta della coniugazione verbale della 2a persona singolare nell’imperativo presente.

  • Da’ 2a persona singolare dell’imperativo presente del verbo dare;
  • 3a persona singolare dell’indicativo presente del verbo dare;
  • Da preposizione semplice;
Fa, fà e fa’

La forma corretta di fa è sempre senza accento, sia in veste di nota musicale che nella coniugazione della terza persona dell’indicativo presente del verbo fare. Mentre vuole l’apostrofo (fa’) quando è apocope vocalica ovvero nella coniugazione verbale della 2a persona singolare nell’imperativo presente.

  • Fa’ 2a persona singolare dell’imperativo presente del verbo fare;
  • Fa 2a persona singolare dell’indicativo presente del verbo fare;
  • Fa nota musicale;
  • Fa preposizione semplice;
  • mai.

Fa non vuole mai l’accento: al massimo chiede l’apostrofo nell’imperativo presente del verbo fare.

Va, và e va’

Analogamente al verbo fare, la terza persona del singolare presente di andare (va) non si accenta mai.

Attenzione!
Presenta invece l’apostrofo (va’) quando è apocope vocalica nella coniugazione verbale della 2a persona singolare nell’imperativo presente.

  • Va’ 2a persona singolare dell’imperativo presente del verbo andare;
  • Va 2a persona singolare dell’indicativo presente del verbo andare;
  • mai.

Proprio come il verbo fare, anche il verbo andare non vuole mai l’accento, solo l’apostrofo nell’imperativo presente.

Di, dì e di’

Va da sé che il verbo dire segue la stessa regola. Per cui di’ è apocope vocalica in veste di 2a persona singolare nell’imperativo presente.

  • Di’ 2a persona singolare dell’imperativo presente del verbo andare;
  • sinonimo di “giorno”;
  • Di preposizione semplice;
  • Di pronuncia della lettera dell’alfabeto d.
Po, pò e po’

La forma corretta è po’ con l’apostrofo seguito da uno spazio che separa l’apocope vocalica dalla parola che segue ed è il troncamento di poco;

  • Po’ troncamento di poco;
  • Po il fiume;
  • mai;

Po’ è il troncamento di poco, per cui vuole l’apostrofo. Sebbene la tentazione di scrivere sia forte, ricorda: il tuo lavoro si basa sulla scrittura, i tuoi post, la tua scrittura è la tua vetrina!

Mo, mò e mo’

La forma corretta è mo’ con l’apostrofo seguito da uno spazio che separa l’apocope dalla parola che segue ed è il troncamento di modo (a mo’ di esempio);

  • Mo’ troncamento di modo;
  • Mo mai;
  • mai;

I verbi darefareandare e dire prevedono l’uso dell’apostrofo in quanto apocope vocalica (tipo di troncamentonella 2a persona singolare presente nell’imperativo. Le forme corrette sono pertanto da’fa’va’ e di’.

— Grammatica italiana

4. Pronomi personali complemento indiretto

Gli/A lui/A loro – Le/A lei.

La stesura di un romanzo o di un racconto implica la descrizione di luoghi, personaggi, azioni e dialoghi. Quante volte hai letto una splendida introduzione rovinata da un semplice dettaglio?

I pronomi personali complemento gli (= a lui/a loro) e le (= a lei) ci permettono di riferirci indirettamente a una persona e sono spesso usati nei dialoghi diretti e indiretti.

La concordanza dei pronomi è molto importante, perché aiuta a definire se ci stiamo riferendo a un uomo o a una donna e può diventare determinante quando si svolge un dialogo tra più personaggi.

  • Stavo raccontando a Federico che ho descritto Giuliano a Carla: le (=a lei) ho detto che è molto simpatico;
  • Luciano disse ad Alberta che il film che voleva vedere Giorgio era banale: ” quando lo vedo gli (=a lui) voglio sconsigliare di vederlo.”
  • “Ermanno ha invitato gli Arcimboldi a cena. Perché non venite anche voi. Gli (=a loro) farebbe piacere conoscervi.”
  • Al posto di gli (3a persona singolare) è preferibile usare loro (3a persona plurale), che però richiede di essere usato sempre dopo un verbo. Perciò, nell’italiano contemporaneo è accettato usare gli anche nella forma plurale.

5. Piuttosto che con valore disgiuntivo

Invece o Oppure?

Piuttosto che con valore disgiuntivo è una delle grandi piaghe degli ultimi anni, la cui diffusione si deve prevalentemente ai media audiovisivi e alla stampa.1

Questo avverbio si usa davanti alle proposizioni avversative e comparative e significa anziché, invece e indica una preferenza netta rispetto a un altro elemento.

Infatti, nonostante i media utilizzino spesso impropriamente piuttosto che con valore disgiuntivo, attribuendogli la valenza di oppure, a volte creando dubbio e ambiguità, piuttosto che esclude una delle due possibilità senza possibilità di confusione.

Piuttosto che indica una preferenza rispetto a un altro elemento non un’alternativa.

  • Preferisco camminare piuttosto che prendere l’auto Preferisco camminare invece di prendere l’auto;

Significa

  • Preferisco camminare e non prendere l’auto: non che entrambe le soluzioni mi vanno bene.
  • Pertanto, è errato scrivere:
  • Preferisco camminare piuttosto che prendere l’auto, scegli tu.

In questo caso, infatti, viene attribuito a piuttosto che il significato improprio di oppure, mi vanno bene entrambe le soluzioni.

Ho volutamente lasciato fuori l’uso del congiuntivo, per il quale è necessaria una trattazione a parte, l’uso della d eufonica, di cui abbiamo parlato nella pillola 1, e altri errori frequenti, proposti nell’approfondimento che vedremo più avanti in questa rubrica.

Occhi aperti e buona revisione!

Cristina Mantione

©️ Riproduzione riservata

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